Identificazione di farmaci per le malattie da prioni

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVI – 09 marzo 2019.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Le malattie da prioni, nonostante il notevole numero di studi condotti ogni anno e la notevole mole di dati prodotti, rimangono patologie non trattabili ad esito invariabilmente infausto; pertanto, anche se non si registra più la risonanza mediatica dell’epoca in cui si diffondeva l’encefalopatia spongiforme bovina (detta malattia della “mucca pazza”), l’obiettivo di scoprire mezzi terapeutici efficaci dovrebbe essere ancora una priorità della ricerca farmacologica. La maggior parte delle molecole candidate a divenire farmaci per il trattamento delle malattie causate dalle forme diffusibili dei polipeptidi prionici, sono state individuate in cellule di neuroblastoma in coltura sulla base della loro capacità di ridurre i livelli di PrPSc, ossia della forma infettiva dei prioni. Mercer e Harris dell’Università di Boston hanno impiegato un saggio alternativo basato su un fenotipo cellulare anomalo associato con una proteina prionica mutante, per scoprire una nuova classe di composti anti-prioni, le fenetil-piperidine.

(Mercer R. C. & Harris D. A., Identification of anti-prion drugs and targets using toxicity-based assays. Current Opinion in Pharmacology 44: 20-27, 2019).

La provenienza degli autori è la seguente: Boston University School of Medicine, Boston, Massachusetts (USA).

A scopo introduttivo o di richiamo di memoria sui prioni, si riporta il brano seguente:

“Come è noto, la scoperta del prione o proteina prionica è legata all’individuazione della causa delle encefalopatie spongiformi subacute animali, incluse lo scrapie della pecora e l’encefalopatia spongiforme bovina, e delle encefalopatie neurodegenerative trasmissibili umane[1] (cosiddette “demenze trasmissibili”), quali il kuru, la malattia di Creutzfeldt-Jacob (CJD) e la malattia di Gertsmann-Strӓussler-Skeinker (GSS), e infine l’insonnia familiare fatale (FFI). Una lunga e intensa stagione di ricerca si concluse con l’identificazione da parte di Prusiner e collaboratori (1982) di una sialoglicoproteina che fu battezzata prion (da proteinaceous infectious particle) e definita “piccola particella infettiva proteinacea che resiste all’inattivazione da parte di procedure che modificano gli acidi nucleici”[2]. Stabilito che le malattie da prioni implicano la conversione di una forma fisiologica cellulare della proteina, ossia PrPC, nella forma trasmissibile PrPSc, è cominciata la ricerca, che attualmente prosegue, sulle funzioni di PrPC.

Il prione è una molecola altamente conservata nel corso dell’evoluzione, identificata in uccelli, pesci, anfibi, marsupiali, oltre che in tutti i mammiferi studiati, e perciò verosimilmente presente in tutti i vertebrati. PrPC si esprime nelle fasi precoci dell’embriogenesi e si rinviene nella maggior parte dei tessuti dell’adulto, con i massimi livelli di espressione nel sistema nervoso centrale, ed una ampia espressione anche nelle cellule del sistema immunitario. Poiché PrPC è una glicoproteina della superficie cellulare GPI-ancorata, si ritiene che possa avere ruoli nell’adesione cellulare e in processi di segnalazione.

Tempo fa, fece scalpore l’identificazione di un ruolo di PrPC nei meccanismi molecolari della memoria da parte di ricercatori del laboratorio di Eric Kandel, ma attualmente si è accumulata una mole notevole di dati che prova la partecipazione del prione cellulare a numerose attività della cellula, dall’interazione con proteine apoptotiche per la sopravvivenza cellulare ad interventi nel metabolismo e nel trasporto di rame e zinco; ciascuno di questi ipotetici ruoli necessita ancora di una precisa definizione”[3]. Per dettagli sulla struttura di PrPC si rinvia ad una nota precedente[4].

Ritorniamo allo studio qui recensito.

Impiegando un saggio che monitora gli effetti tossici acuti di PrPSc sulle sinapsi di neuroni ippocampali in coltura, Mercer e Harris hanno identificato p38 MAPK come un druggable pharmacological target. In proposito si ricorda che, nella ricerca corrente, p38 MAPK è già stato considerato per il trattamento di altre malattie umane. Per testare i composti inibitori sono state impiegate anche sezioni cerebrali sottili organotipiche, che possono propagare prioni e mimare vari elementi neuropatologici della malattia. Un efficace regime anti-prionico dovrebbe implicare la combinazione sinergica di farmaci agenti a vari livelli del processo patogenetico, risultando non solo nella riduzione dei livelli prionici, ma anche nella soppressione della segnalazione neurotossica.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond

BM&L-09 marzo 2019

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Si ricorda, di passaggio, che le malattie da prioni sono uniche in biologia e patologia, in quanto si manifestano come sporadiche, genetiche ed infettive.

[2] Prusiner S. B., Novel proteinaceous infectious particles cause scrapie. Science 216 (4542): 136-144, 1982.

[3] Note e Notizie 30-09-17 Nel Parkinson un meccanismo prionico causa danni cognitivi.

[4] Note e Notizie 28-05-11 Blocco dei prioni previene inibizione di LTP da parte di βA da cervello con Alzheimer.